I paesaggi: per intervenire correttamente nella loro pianificazione, gestione e anche tutela, i paesaggi devono essere conosciuti, compresi e valutati nelle loro caratteristiche strutturali e funzionali, negli eventi naturali e nelle azioni umane che con essi interagiscono e nelle motivazioni materiali e culturali di queste ultime.
Lo stadel di Stubbi si colloca ad una quota altimetrica di circa 1.800 m slm nella parte centrale del vallone di San Grato, a ridosso dell’antico percorso pedonale denominato Dan Undre Weg o Vuss Weg. La località di Stubbi insieme alla vicina Vlüekhji (1.890 m slm) costituivano il limite altimetrico dell’insediamento permanente nel vallone.
Nel basso medioevo la porzione di territorio su cui sorge il nostro stadel apparteneva ad un certo Enga de Ronco (prima metà del ‘300). Come si sa i cognomi in quel momento storico erano in via di formazione e spesso il colono era identificato con il nome proprio accompagnato dal nome del luogo in cui risiedeva. Nei documenti del XIV-XV il luogo in questione è il Ronc, compreso in un’ampia fascia che oggi solo in parte è chiamata Ronh e che successivamente prese il nome di Stubbi.
San Grato è un vallone di orientamento est-ovest di cui una larga fetta di versante esposto a sud è stata nel medioevo divisa in lotti (particelle) – in töitschu HOF (podere) – e quindi assegnati ai coloni walser. Il risultato è un habitat diffuso, abitato in modo permanente fino all’inizio del XIX secolo, dotato di tutte quelle strutture che caratterizzano i centri abitati: accessibilità adeguata, abitazioni, opifici (mulini, forge), cappella, campi, terrazzamenti, prati da sfalcio, pascoli e alpeggi. La colonizzazione da parte della popolazione walser è avvenuta a partire dalla fine del XII secolo.
Oggi l’eccezionalità del luogo sta proprio nell’aver mantenuto intatta la struttura di colonizzazione, con un uso sostenibile del territorio in equilibrio con l’ambiente naturale.
La chiave di lettura del territorio, vocato in passato alla cerealicoltura e alla pastorizia, sono le due vie di penetrazione del vallone destinate rispettivamente al transito dei pedoni e alla monticazione. Dal punto di vista viario è l’orografia a rendere quasi obbligatorie le scelte di percorso che, di conseguenza, non hanno subito mutamenti nel corso dei secoli, soprattutto nella parte bassa del vallone prima che si superi il gradino glaciale. Mentre quando si giunge all’ampia fascia in pendio che va dal villaggio del Bühl (1670 m) fino a quello di Vlüekhji (1890 m), la divisone del territorio si fonda sul tracciato delle due vie principali sopra citate, fra loro parallele, e chiamate rispettivamente Dan Uabre Weg o D’Chünu Weg (percorso alto o delle vacche) e Dan Undre Weg o Vuss Weg (percorso basso o pedonale). Questi due percorsi sono disposti lungo l’asse più sviluppato del territorio in senso longitudinale al crinale e lungo le curve di livello. La via di transumanza, quella più a monte, si sviluppa a ridosso della fascia di bosco, mentre il percorso pedonale è centrale alla porzione di territorio un tempo coltivato.
La via di monticazione del bestiame era l’arteria principale chiamata nei catasti antichi la charrière, le grand chemin, le chemin de l’alp, o le chemin public. Questo percorso era esterno al territorio coltivato proprio per evitare che il bestiame entrasse nei coltivi.
Certo non è vantaggioso realizzare due percorsi, ma necessario quando le pratiche di sfruttamento del suolo sono diversificate verso l’agricoltura e la pastorizia e la colonizzazione stessa si fonda su singoli lotti. Infatti, oltre il limite dei coltivi i due percorsi si riuniscono e si costituiscono le diramazioni per i diversi alpeggi.
Fra i due percorsi principali e a valle di quello pedonale sono disposti i poderi concessi ai coloni. Ogni lotto è raggiungibile da percorsi interni che tagliano il pendio in obliquo, atti a superare il dislivello fra un podere e l’altro.
Nel dialetto walser di Issime d’stubbu (d’stubbi pl.) indica, sia la stanza (anche detta spéier o spéischoamru) all’interno della struttura in legno dello stadel separata dalla parte adibita a fienile, in cui si conservavano le derrate alimentari in genere, i cereali, ma anche per riporvi indumenti e nella bella stagione per dormire, sia la stanzetta che si trova sul balcone riparata dalle profonde sporgenze dei frontoni degli stoadla. Alcuni anziani però ricordavano di aver sentito utilizzare questo termine per indicare un piccolo edificio dalle dimensioni di una camera ad uso esclusivo di granaio, una costruzione in legno generalmente sorretta dai tipici pilastrini a ‘fungo’ stadalbein che poggiavano direttamente su un basamento in pietra con la sola funzione di sostenerli. Ad Issime è rimasto un solo esemplare nel villaggio di Hubal, qualche anziano ne ricordava uno a Écku e uno nei pressi del villaggio di Chröiz.
Oggi il termine stadel (stoadal in töitschu) indica qualsiasi edificio in legno, mentre stubbu, con l’accezione di granaio, è rimasto nella toponomastica: Stubbun acher il nome di un campetto di patate vicino ad un granaio ora crollato nel villaggio di Écku nel vallone di San Grato; Stubbi il nome del villaggio, dove si trova il nostro stadel, in cui sorgevano dei granai oggi scomparsi ma di cui rimangono i basamenti e dove nella prima metà del XV secolo furono costruiti un mulino e quattro granai; A Gaby si usava il termine schtuba per indicare un granaio, oggi in disuso, mentre ehtôba a Perloz è ancora usato sia per indicare la stanza nel rascard, sia un granaio isolato.
La conferma della presenza di granai a Stubbi ci arriva da un documento, una reconnaissance, datato 17 marzo 1479 in cui Vercellotus, Yocco, Giacomo e Yaquyn, fratelli, figli del fu Antonio, del fu Yocco di Yanno de Enga de Ronco, riconobbero di tenere in feudo vari beni e diritti dai signori Claudio, Giovanni e Luigi di Vallaise (Hôtel) [1]. Tra questi figura un appezzamento di prati e campi situato nel luogo detto ‘Ronc’ (la fascia ancora così chiamata in cui Stubbi è compreso), con quattro granai, una casa, un “tetto” (stalla) e duobus molendini (due apparati molitori) con il relativo canale di adduzione. Dei granai e del mulino non si fa menzione nei consegnamenti della stessa famiglia e precedenti al XV secolo, né in quelli coevi dei feudatari confinanti, ma si fa riferimento solo a due pezzi di terra con prati, campi e una casa.
Il mulino in questione può essere identificato con il rudere oggi presente a Stubbi, le analisi dendrocronologiche e le indagini archeologiche ne confermato la datazione alla prima metà del XV secolo. Il Quattrocento è un’epoca alla quale è da ricondursi un’intensa attività costruttiva ma anche imprenditoriale che deve aver dato un nuovo volto all’intero vallone. Poco più a monte di Stubbi è presente in località Vlüekhji un altro stadel principalmente a funzione abitativa che è stato attribuito cronologicamente sempre attraverso analisi dendrocronologiche al 1448-1451. Questo modello insediativo è rappresentato da edifici a funzioni dissociate con casa d’abitazione in legno separata dagli edifici rurali per l’allevamento, per la conservazione delle derrate alimentari umane ed animali (granaio e fienile) e per la trasformazione dei prodotti dell’agricoltura (mulino e forno), modello che non troverà più riscontro nei secoli successivi.
Un analogo dinamismo e intenso rinnovamento costruttivo trovano ulteriore e puntuale riscontro nella prima metà del XVII secolo, molti sono gli edifici che vengono costruiti nel vallone in questo periodo. Anche i mulini presenti, di Brochnu Mülli e di Stubbi, restituiscono elementi di datazione che testimoniano in quest’epoca importanti fasi ricostruttive. Le datazioni dendrocronologiche eseguite sui legni ancora conservati nelle murature del mulino di Brochnu Mülli riconducono l’edificio attualmente esistente al 1617, mentre il mulino di Stubbi riporta la data 1605 sull’architrave in pietra dell’ingresso.
L’inizio del XVII secolo sembra costituire dunque un momento di nuova crescita, forse anche demografica, durante il quale la ristrutturazione di edifici produttivi e la costruzione di nuovi edifici abitativi, manifesta l’incremento di un bisogno sociale.
A quest’epoca risale la costruzione dello stadel di Stubbi che la datazione dendrocronologica colloca fra il 1656-1662. In questo caso l’edificio però presenta funzioni abitative concentrate, infatti all’interno si trovano tutti i locali destinati sia alla vita delle persone che alla conduzione dell’attività agropastorale. Lo stadel è disposto su tre livelli, i primi due in muratura e il terzo in legno, e comprende: al piano terreno la stalla per il bestiame, con affiancata una cantina ora murata, al piano superiore un locale di soggiorno, mentre nel piano sottotetto si trova il fienile con affiancato una camera che fungeva da granaio. Questo nuovo modello di edificio anticipa le case concentrate in pietra che si diffonderanno nel territorio di Issime nel periodo successivo.
Mentre lo stadel di tipo arcaico è composto da due corpi sovrapposti: un corpo lapideo destinato agli animali e un corpo ligneo per la conservazione del fieno e dei cereali. Tra i due corpi è uno spazio vuoto che permette l’areazione e impedisce il passaggio dei roditori, sollevato per mezzo di pilastrini i cosiddetti stadalbein.
Lo stadel di Stubbi ha la parte in legno che poggia direttamente sul basamento in pietra, costituito da due livelli, senza l’interposizione dei pilastrini in legno. Un nuovo modello di edificio, in cui le dimensioni sono maggiori e che sovente, come nel nostro caso, mantiene lo sbalzo nel tratto terminale dei frontoni per ampliare la capacità di immagazzinamento del fieno. In alcuni casi, come in quello di Stubbi, in sostituzione dei pilastrini si trovano delle mensole lapidee anti-roditori, posizionate a sbalzo e che circondano la parte superiore del basamento in pietra.
Nel caso dello stadel di Stubbi il mantenimento dello sbalzo nei frontoni e le aumentate dimensioni della struttura rendono particolarmente imponente l’edificio, considerato il più bello di Issime.
Alla luce di una capillare e approfondita conoscenza delle testimonianze architettoniche del territorio, la costruzione dell’edificio è con ogni probabilità da attribuire al capomastro Hans Goyet (Jean Goyet) di Issime, così come per altri due edifici presenti nel vallone, quello di Pintschen Écku e quello di Höiŝcher e per la bellissima abitazione del Palats a Gaby del 1632 voluta da Giovanni Trenta che reca ancora oggi la scritta sulla trave maestra “Der Hans Driszquer hat das glassen machen und der maister Hans Goyet hetz gmachet im iar MDCXXXII” (Giovanni Trenta l’ha fatta costruire e il capomastro Giovanni Goyet l’ha costruita nell’anno 1632).
Questi edifici presentato le stesse scelte stilistico/strutturali e stessi dettagli del sistema costruttivo come l’impiego nel basamento in pietra di pietre d’angolo, piedritti e architravi molto possenti. La conferma indiretta ci arriva dall’analisi del Livre terrier d’Issime del 1645 quello relativo al Le Tiers de la Montaigne d’Issime corrispondente al vallone di San Grato e di Bourinnes, in cui Jean Goyet risulta essere proprietario a Stubbi di una buona parte del territorio in cui è compreso il mulino e la vasca di raccolta dell’acqua. Ulteriore conferma è data dalla trave maestra dell’abitazione di Pintschen Écku che reca incisa la data 1651 ed il nome Jean Goyet. Mentre a Stubbi il tetto fu rifatto e la trave maestra non presenta alcuna iscrizione, quest’ultima risale infatti al 1857 da datazione dendrocronologica.
Michele Musso
[1] AHR, Fonds Vallaise, 21/XIX/3, rotolo pergamenaceo, pecie XV-XVI.





