La passione fonda mura solide, di cui i bei ricordi sono pietre d’angolo
Era il luglio del 1993 e ad Issime mi raggiunse un giovane Valerio Cantamessi, veniva da Ornavasso (Val d’Ossola). Non ricordo come si fosse annunciato, perché ancora non avevamo i cellulari. Ho però di quei momenti ancora un vivido ricordo. Valerio parcheggiò la sua moto nel piazzale davanti la chiesa di Issime, tolse il casco, si presentò e iniziammo a conversare. Certamente parlammo dei nostri studi e del nostro comune interesse, ma la prima cosa che notai fu il particolare rispetto che mi riservava, quasi fossi un illustre ricercatore. Mi stupii, ovviamente, perché non lo ero per nulla! Il motivo stava nel fatto che l’anno precedente sulla rivista Augusta (rivista annuale dell’Associazione Augusta di Issime edita dal 1969) era uscito un articolo a firma mia e di Mariangiola Bodo dal titolo “Alcune osservazioni su un toponimo perduto: Le pré des allemands”. Riguardava la storia di Issime, una storia che fino ad allora non era ancora stata raccontata, di incontro di lingue e popoli diversi, del mondo germanico e di quello latino. Valerio ne aveva colto l’importanza, e oggi a distanza di anni, riconosco che fu il primo ad accorgersene, ancor prima del professor Peter Zürrer di Zurigo. In effetti, quello studio dette nuovo impulso alle ricerche linguistiche, e non solo, sulla comunità di Issime. Fino ad allora si raccontava dell’anomalia di Gaby, comunità francofona fra due comunità alemanne, Issime e Gressoney, senza spiegarne la ragione, come se quei mondi così diversi avessero una barriera insormontabile che ne avesse impedito la comunicazione e soprattutto avesse garantito la staticità delle dinamiche sociali nel corso dei secoli. Beh, non era proprio andata così come la descrivevano e come ancora qualcuno oggi si ostina a raccontarla, in maniera sempliciotta!
Issime è tanto tedesca, quanto Gaby lo era stata nel passato e Gaby tanto francofona, quanto Issime nel passato! Qualche anno più tardi, scrissi un articolo dal titolo “Labili confini …”, oggi scriverei “fluidi”. Questo in estrema sintesi fu ciò che andai a raccontare a Campello. In effetti, Valerio era venuto fin da Ornavasso per invitarmi a parlare ad un incontro che si sarebbe tenuto i primi di agosto appunto a Campello Monti, un piccolo paese a monte di Omegna, nella Valle Strona. Un convegno organizzato dal Centro Studi di Campello Monti e da un certo Rolando Ballestroni che lo presiedeva. Era la prima volta in assoluto che qualcuno mi invitava a parlare di qualcosa che avevo pensato e scritto. Non nascondo l’emozione e la paura, subito presi i contatti con Mariangiola e iniziammo a scrivere l’intervento e il 7 agosto mi recai a Campello. Mi accompagnò mio padre, la strada era strettissima e impervia ma ad un certo punto dopo un bosco di faggi si aprì di fronte a noi, come quando scostano i tendoni di un palcoscenico, la vista di uno dei più bei paesi che avessi mai visto sulle nostre alpi. L’asperità delle montagne era compensata dalla leggerezza con cui una carrellata di case, elegantissime, slanciate, sobrie e colorate, si disponevano su una crestina di terra a lato di un torrente. Ci accolse Rolando, affabile, industrioso e irrefrenabile. Fummo ospitati in una abitazione lì vicino per rifocillarci e cambiarci d’abito, con noi c’era Barbara Ronco Margitisch che indossò il costume di Issime. Barbara lesse durante il convegno che si svolse nella chiesa, una delle più belle pagine in prosa scritte in töitschu da Imelda Ronco Hantsch “Noa am winter an anner oustaga” – Dopo un inverno un’altra primavera; una metafora della vita in una trasposizione simbolica di immagini dell’attività che gli animali svolgono sia da soli, sia con gli altri animali in rapporto all’ambiente, nel confronto con l’esistenza umana. Imelda ha tradotto magistralmente in metafora ciò che la Costituzione italiana dice all’articolo 4 “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.
Erano presenti al convegno alcuni rappresentanti delle altre comunità, ricordo Dino Vasina di Rimella, Angela Gagliardini di Alagna, Heinrich Welf di Gressoney, Paolo Crosa Lenz e Valerio Cantamessi di Ornavasso. Una piacevole giornata che mi aprì alla conoscenza di altre realtà, ad intessere relazioni di amicizia e a dare inizio ad un ‘domino’ che dura tutt’ora.
Feci ritorno ad Issime e nei giorni successivi mi arrivò l’invito di Valerio Cantamessi per recarmi ad Ornavasso. Ci andai in treno e fui ospitato a casa sua, una settimana piacevolissima. Ricordo la nonna, occhi azzurri e capelli bianchissimi, tanto tedesca come mi fece notare Valerio. Andammo alla Madonna del Boden, su per la montagna di Ornavasso così ricca di toponimi tedeschi. E poi partimmo con il pandino di Valerio su per l’Ossola, a Migiandone, a Macugnaga, a Salecchio ospiti nella casa dello zio di Valerio e da lì a piedi verso Formazza, Pomatt. Conobbi Anna Maria Bacher e le sue poesie. Registrammo un ultimo parlante di Agaro, uno di Salecchio che abitavano nel fondovalle. Lassù in Formazza ci venne l’idea di far tradurre e pubblicare alcuni racconti di Esopo nei dialetti walser, lo proponemmo ad Anna Maria Bacher di Pomatt e a Imelda Ronco Hantsch di Issime, anche a Macugnaga ma senza esito. Con la grande intraprendenza e intelligenza di Valerio la pubblicazione era già pronta per il Natale di quell’anno. Trovai la carta, una bella carta, dal parroco di Gaby, don Incoletti che ce la regalò, e don Montini parroco di Issime, don Byte come lo soprannominai più tardi, mi prestò il suo pc portatile, il mio primo pc portatile. E così andammo in stampa, in proprio, lì ad Ornavasso.
Tornai a Campello ancora una volta qualche anno più tardi a parlare di alimentazione, di cultura dell’alimentazione della comunità di Issime. E poi ancora altre volte, e ancora spero di ritornare ad incontrare quei ricordi così piacevoli. Campello è stato, e lo è ancora, luogo di incontro, grazie Rolando, e grazie Valerio!
Issime, lì 4 gennaio 2023
Michele Musso