Issime, 19 novembre 2021
PIRUBECK
Una giornata di nebbia come quella di oggi non può che far pensare al nostro Pirubeck e all’omonima poesia dell’issimese Albert Linty.
PIRUBECK E LE SUE LEGGENDE
Ci sono luoghi che nell’immaginario collettivo di una comunità hanno un forte valore simbolico e sui quali convergono ideali, valori e aspirazioni, Pirubeck è uno di questi.
Pirubeck è un caratteristico e leggendario spuntone roccioso che si erge come un dente aguzzo tra le pietraie che fiancheggiano la sponda sinistra del torrente Lys a Issime.
Chi conosce la zona del Moncenisio certamente conosce il cosiddetto monolite di Sardières, palestra di arrampicatori, che è una specie di fratello maggiore del nostro.
I frammenti rocciosi che in epoca remota si staccarono dalle pendici del monte chiamato Becket, di dimensioni e forme molto varie, vanno a formare un’estesa falda detritica, la quale termina al margine di un prato nel fondovalle. Su questo prato, lungo il Lys, sgorga una sorgente chiamata in francese Fontaineclaire, e in töitschu, il dialetto walser di Issime, Funtrunkieeru.
Non è certo questo versante a catturare l’attenzione del visitatore essendo molto scosceso e ricco di pietraie, falesie, boschi e terrazzamenti ormai nascosti dalla vegetazione. Ma sedendosi in piazza e guardando con attenzione il pendio che fa da sfondo alla chiesa parrocchiale di San Giacomo, si vede chiaramente far capolino sopra la cima degli alberi una sagoma di pietra che si erge maestosa, è il Pirubeck. Intorno a questo obelisco naturale, che raggiunge quasi i 50 metri di altezza visto da valle, aleggiano leggende sulla vita nascosta di una fata (lljibu hoaksch – che fece sgorgare la sorgente di Fontaineclaire) e sulla processione delle anime dei defunti – dar Kurs – nel dialetto locale.
Al gigante sono conferite connotazioni e qualità umane, ivi compresa la corporeità, tanto da farlo parlare attraverso filastrocche, espressioni e poesie. È l’unico essere inanimato ad Issime ad aver assunto caratteristiche antropomorfe, capace di provare sentimenti e addirittura di indirizzare la vita sociale, culturale e morale della comunità.
A questo proposito ricordiamo una rubrica pubblicata per molti anni e nel primo dopoguerra sul bollettino parrocchiale ad opera del parroco che si firmava con lo pseudonimo “Pirubeck” e la bellissima poesia in töitschu scritta nel 1974 da Albert Linty (1906-1983), intitolata appunto Pirubeck, un prezioso compendio di storia naturale e di storia antropica, arricchito dalle nuances del dialetto e soffuso di una certa aura magica, l’animismo che fa parlare questa antica roccia.
L’etimologia del termine Pirubeck è profondamente legata alla natura stessa del monolite e sta a significare ‘becco di pietra’. È l’ipotesi più accreditata, anche prospettata nel 1901 dall’issimese Jean-Jacques Christillin nel volume Légendes et récits recueillis sur les bords du Lys, nella leggenda La fée de Piroubec et la légende de Fontaineclaire. Il termine è collegabile al francese “bec de pierre” o al patois bec de pèira, che con la tipica costruzione tedesca dei sostantivi composti avrebbe originato il più issimese PIRU (genitivo) – BECK, becco di pietra.
Pirubeck si trova a 1.200 metri s.l.m. e il territorio circostante è un luogo dove Madre Natura si rivela con la sua maestosa presenza, con il pullulare di vari elementi. Sovrani fra di essi, le rocce, ma anche conifere, faggi, qualche castagno, arbusti, ginestre, rovi ed erba selvatica, e la totale assenza d’acqua.
Questa parte di territorio è di proprietà comunale: un tempo le donne si recavano per raccogliere con il falcetto l’erba selvatica, i fanciulli e le fanciulle vi pascolavano le capre e lì si raccoglieva il legname. Il Comune concedeva il diritto di usufruire del pascolo tassando ogni capo condotto.
Da dicembre, quando si scendeva con il bestiame nel fondovalle per trascorrervi l’inverno, ciascun villaggio formava la sua mandria – troppe – di capre per condurla al pascolo comune, una volta al giorno. Ogni proprietario – particulier – era tenuto ad impegnarsi nella custodia della mandria, a turno – dan tor dar geissu – il turno delle capre. Il turno prevedeva un’equa divisione del lavoro impegnando ogni famiglia a garantire un numero di giornate lavorate pari al numero di capi posseduti e avviati al pascolo comune.
Ogni villaggio aveva diritto su una determinata porzione di territorio comunale. Erano i villaggi di Sengle superiore e inferiore, Varellji, Pioani, e Tunterentsch ad usufruire dei beni comunali di Pirubeck e delle zone chiamate Fei e Chéschtillji nei pressi del villaggio di Sengle.
Gli animali erano fatti uscire se il suolo “era terreno”, cioè se non era ricoperto di neve, e il turno durava generalmente fino alla tarda primavera. Possedere delle capre voleva dire avere, dalla primavera, dopo la nascita dei capretti, fino ad autunno inoltrato, del latte per i fabbisogni alimentari della famiglia (per la colazione e per preparare la minestra) ed economizzare così sul latte vaccino destinato alla produzione casearia.
Sono proprio due pastorelli di capre i protagonisti della leggenda della fata di Pirubeck e di Fontaineclaire. La tradizione vuole che fra le rocce nei pressi del gigante di pietra si aprisse una grotta, chiamata Pirubecksch Balmu, e che lì vicino sgorgasse una sorgente dalle acque buone e freschissime, vegliate da una donna buona d’aspetto che qui viveva da tempo immemore. Fu lei stessa a donare quell’acqua ai due pastorelli che si erano smarriti nel cercare una sorgente per dissetarsi. La fata immerse l’estremità della sua bacchetta nella fonte e quindi tracciò il corso che l’acqua avrebbe dovuto seguire, poi la videro conficcare in terra la punta della bacchetta e, quando la tolse, una nuova sorgente abbondante zampillò improvvisamente in quel punto sull’erba verde.
Oggi quest’acqua è stata captata per alimentare l’acquedotto intercomunale, dissetando gli abitanti di Issime e di Pont-Saint-Martin. Tuttavia, le frazioni di Sengle si sono riservate quota parte dell’acqua in quanto, prima che tutte le acque superficiali e sotterranee diventassero pubbliche, la polla di Fontaineclaire era sorgente di acqua privata. In precedenza, infatti alimentava il Ru de Fontaineclaire che irrigava tre ettari di territorio agricolo a valle dei villaggi di Sengle, ma era sfruttata tutto l’anno per uso domestico, per abbeverare il bestiame, per alimentare dei maceratoi della canapa e per gli usi di pulizia e di antincendio.
Al fine di garantire il diritto di godimento e per economizzare la fatica di chi proveniva dai diversi villaggi, l’accesso ai beni comunali di questa parte di territorio era assicurato da tre sentieri che avevano origine rispettivamente, dai ponti che attraversano il torrente Lys, uno all’altezza del villaggio di Tontinel, un altro più a valle detto z’Endru Steg che serviva il villaggio di Pioani, e il terzo da Sengle superiore. I tre tracciati risalivano il cono alluvionale chiamato Kieivu ai piedi del canalone detto Guttru Schlucht, per confluire in un punto d’Röschti – la posa, dove vi è un masso adatto a posare la gerla per una sosta. Da qui dipartivano una fitta rete di sentieri fra loro connessi, quello per Pirubeck, quello per salire a Mun, passaggio obbligato per chi voleva portare le capre nei beni comunali del Chéschtillji, un contrafforte roccioso a lato del Guttru Schlucht, ed evitare il villaggio del Biolley. Infine vi è il sentiero pedonale che raggiunge il villaggio del Biolley e quindi il vallone laterale di Tourrison, che si estende a monte di Sengle: nel primo tratto, esso prende il nome di Leiden Tritt, brutto passo, perché attraversa una sporgenza a strapiombo sul villaggio di Sengle.
Il sentiero che dal villaggio di Sengle sale verso i beni sopra citati attraversa una porzione di territorio, il Fei, così chiamato per la presenza di numerosi faggi. Si dice che questo luogo è il passaggio obbligato del Kurs, la processione dei morti, che molti giurano di aver incontrata. I morti nel loro incessante peregrinare a raccogliere le anime dei defunti, scendono dal vallone di Tourisson per raggiungere il ponte di z’Endru Steg, il capoluogo Duarf e risalire il vallone di Bourinnes. Secondo la tradizione le anime si radunano qui prima di ricominciare il giro sulle montagne attraverso le valli sempre per la medesima via.
Sono questi i luoghi che oggi definiamo marginali, difficilmente accessibili, spazi al di fuori del perimetro vitale del villaggio, del paesaggio rurale costruito. Tuttavia, l’atto generativo con cui viene perfezionato il rapporto con il territorio consiste proprio nell’attribuire un nome e caricare di valore simbolico gli spazi, una sorta di addomesticamento dei luoghi con cui l’uomo entra in una relazione profonda, consegnandoli alla memoria comunitaria. L’uomo, oltre che appartenere ad una cultura, appartiene a un luogo che deve far diventare casa, spazio di sentimenti ed emozioni, dove proiettare e ritrovare i segni fondamentali della propria identità.
Pirubeck è rimasto inviolato fino a quando Giuseppe Abbiati (1901-1985) alpinista originario di Valenza, insieme al torinese Giovanni Peano in villeggiatura ad Issime, raggiunsero la vetta del ‘Gendarme”, come lo definì Abbiati, intorno alle 10.30 del 14 agosto del 1922.
Abbiati che per primo toccò la cima scrisse nella cronaca dell’arrampicata: “Trovo che è vergine e sventolo di giubilo la bandierina tricolore che ho portato meco”.
Oggi l’abbandono di questo versante, ormai invisibile, in gran parte rimboschito e irraggiungibile, produce i segni di una nuova marginalità che qui è stata assunta come impegno di conoscenza, progetto e rivitalizzazione.
La mattina del 18 giugno 1968, alle ore 7.27, un violento terremoto fece tremare tutta la Valle d’Aosta. La scossa, con epicentro a Bard, fu del sesto grado della scala Mercalli. Questo evento fece crollare parte del nostro “Gendarme”.
Ecco le sue ultime parole (Pirubeck, Albert Linty):
Ich will ni grüzen, wa ich bin nümmi ganz,
halbs binnich im Guvver das ischt héi unner:
d’arüschutu das hen gschpürt Ioari hinner
wénh dsch’arwinnt, vür mich is dén dä létschten tanz!
Ich bin oalts un groaws un loams
Vi voglio salutare, ma non sono più intero,
metà sono nella pietraia che è qui sotto:
la scossa che ho sentito anni fa
se ritorna, per me sarà l’ultima danza.
Sono vecchio e grigio e invalido
Chi era Albert? Era figlio del notaio issimese Luigi Linty, discendente da una famiglia di antico lignaggio chiamata z’Avukatsch che aveva come capostipite l’ultimo giudice della Vallesa l’avvocato Jean-Pantaleon Linty (1708-1771), e della signora Modesta Consol Stoffultsch che lo mise al mondo ad Issime il 7 gennaio 1906. Ebbe il diploma magistrale ma svolse il lavoro di segretario comunale per lunghi anni a Verrès.
Amò molto il paese natìo e dimostrò tale affetto lavorando con passione sul dialetto che ovviamente conosceva molto bene. Il 30 luglio 1967 fu tra i fondatori dell’Associazione AUGUSTA che nei due giorni seguenti ospitò proprio ad Issime il secondo Congresso dell’A.I.D.L.C.M. (Associazione Internazionale per la Difesa delle Lingue e delle Culture Minacciate) Congresso cui parteciparono insigni personalità della cultura europea.
Oltre a vari scritti (poesie, racconti, dialoghi) pubblicò sulla rivista AUGUSTA lunghi elenchi di VERBI (arricchiti da frasi che utilizzavano tali voci verbali) elenchi che, nelle sue intenzioni, erano la base per la realizzazione di quel vocabolario che, pubblicato nel 1988, egli non potè vedere poiché era già mancato il 22 settembre 1983.
Il suo impegno culturale verso la lingua degli avi gli valse la nomina a membro dell’Accademia Sant’ Anselmo di Aosta.
Questa poesia è un prezioso compendio di storia naturale e di storia antropica, arricchito dalle nuances del dialetto e soffuso di una certa aura magica (l’animismo che fa parlare questa antica roccia) che crea un alone poetico anche quando ci parla di pane e cacio o di muratori nei cantieri con relative morti bianche.
“Pirubeck” compare su “Orizzonti di poesie”, un’antologia di testi in töitschu (issimese) e titsch (gressonaro) pubblicata nel 1995 a cura del Centro studi e cultura walser della Valle d’Aosta in collaborazione con l’Associazione Augusta. Dall’introduzione del volume suddetto, a firma Peter Zürrer, rileviamo solo queste poche righe:
“L’autore che scrive in forma dialettale invece che in italiano (o in una qualsiasi altra lingua) fa capire che questa scelta implica:
– un rapporto fondamentale con la comunità che possiede l’idioma impiegato,
– un collegamento con la propria infanzia che è un periodo durante il quale il dialetto era acquisito per poi essere usato come unica lingua,
– un nesso con un sistema culturale minacciato del quale gli autori sono partecipi,
– un appello, cosciente o meno, all’esigenza di conservare quel bene rappresentato dal patrimonio linguistico.
Per comodità del lettore le strofe della Poesia sono numerate.
PIRUBECK: Il significato di questo toponimo fu richiesto direttamente ad Albert Linty nella sua casa in località Tontinel ad Issime ed egli rispose con semplicità che, secondo lui, il nome era formato da due parole: BIRRU = pera (d’birru / d’birri –TM e Birne ) e BEK = becco (dan beck / d’becka – TM r Schnabel). Il significato sarebbe quindi: un becco a forma di pera. L’ipotesi più certa, anche prospettata da Jean-Jacques CHRISTILLIN in Lègendes et rècits recueillis sur les bords du Lys, nella leggenda La fée de Piroubec et la légende de Fontaineclaire, è che il termine sia collegabile al francese “bec de pierre” o al patois bec de pèira; che con la tipica costruzione alla tedesca dei sostantivi composti avrebbe originato il più issimese PIRU (gen.) – BECK (becco di pietra).
Immaginiamo dunque che la nostra mitica roccia, con magico effetto di dissolvenza, si trasformi in un vecchio grigio per antico pelo e …ci rivolga la parola:
ICH BIN OALTS
UN GROAWS
UN LOAMS
1
Vümmig Joar ich heji wéllteder wissun?
nuan dar Ljibi Gott méchtini antcheeden:
ich bsinnimi nümmi si wénn i leeben
sua mannich ni nöit seen wénn ich dén lljéivrun.
Peut-etre voudriez-vous connaitre mon age?
Le Bon Dieu seulement pourrait vous répondre:
je ne me souviens pas depuis quand j’existe,
je ne saurais vous dire quand je finirai.
Quanti anni io abbia vorreste sapere?
Solo il Buon Dio potrebbe rispondervi:
non mi ricordo più da quando io vivo,
così non vi posso dire quando finirò.
2
A schupputu tousunh Joar Hinner ündsch Voald
ischt gsinh an einegen Glétscher : nöit anner
dé Neebla, Geivéri, Éisch, un doa drunner
oan Sunnu, vür as lénhs Zéit hennich gschpürt choalt.
Plusieurs siècles arrière, notre Valleise
était tout un glacier, il n’y avait rien autre
que de grands nuages, de la glace, et là dessous
sans soleil, pendant longtemps j’ai souffert le froid.
Tante migliaia di anni fa la nostra valle,
era un unico ghiacciaio: nient’altro
che nuvole, nebbie, ghiaccio, e lì sotto
senza sole, per un lungo tempo ho sentito freddo.
3
Noa sövvil beitun, ischt du gcheen ous d’Grüni
den Glétscher het dschi kheben widerzuahen;
laufen z’wasser in d’Lljéisu hennich mua luasen,
séin gwacksen d’Woalda van z’Grün unz in d’Mühni.
Après une longue attente, l’herbe est sortie,
le grand glacier s’était desormais retiré;
j’ai pu alors entendre l’eau couler dans le Lys,
les forets ont crus dès la plaine jusqu’aux Muhnes.
Dopo tanto aspettare, è poi cresciuta l’erba,
il ghiaccio si era ritirato;
scorrere l’acqua nel Lys ho potuto ascoltare,
sono cresciuti i boschi dal piano a Mühni.
4
Zu, d’iestun Tschemmini hen gvannhen a cheemen,
ellji wilti un Lénnhini aller Suart,
Oari, Vücksch, Vogla un i mia van in a Uart
unza d’Beeri un d’Wolva hennich gsien laufen.
Ensuite, sont venus les premiers animaux,
tous sauvages, reptiles de toute sorte,
aigles, renards, oiseaux, et de quelque coté
parfois meme des ours, des loups j’ai vu courir.
Poi i primi animali hanno iniziato ad apparire,
tutti selvatici e serpi di ogni specie,
aquile, volpi, uccelli, e in più di un luogo
persino gli orsi e i lupi ho visto correre.
5
Vill spoatur hennich gsien zannen d’iestu Lljöit:
dschi hen gvannhen an trommun as Poar Woalda,
u sua vür hen a Scheerm hendsch ghousut Stoadla,
éttlljugu deeru miewer noch schétzen höit.
Longtemps après ont paru les premières gens:
elles ont de suite exploité quelques forets,
et pour l’abri, elles ont batit des rascards,
de ceux qu’encore nous pouvons bien apprécier.
Molto più tardi ho avvistato le prime persone:
hanno iniziato a tagliare qualche bosco,
e tanto per avere un riparo hanno costruito qualche rascard,
alcuni dei quali possiamo ancor oggi ammirare.
6
Khémentsch wisst va woa déi Lljöit séggi gcheemen:
van uabna, van unna, van béi al va wéit?
ischt nöit müdlich z’is wissun noa sövvil Zéit?
Is growmich vill z’nöit muan in das ni helfen.
Personne ne sait d’où ces gens sont parvenues:
d’en haut ou d’en bas, ou bien de près ou de loin?
qu’on ne puisse le savoir après si longtemps?
je ne peux pas, hélas, en cela vous aider.
Nessuno sa da dove quelle persone siano giunte:
da sopra, da sotto, da vicino o da lontano?
Non è possibile saperlo dopo tanto tempo?
Mi spiace tanto di non potervi aiutare.
7
Annevört ünz Lann ischt gsinh gruassur de nunh,
héi z’mier teil hedder nji kheben gnug z’essen,
sua vill Manna hen génh mussun goan, um helfen
dä Houslljöite, itschich, un dschi amboschurun
Jadis, notre pays était bien plus peuplé,
ici vous aviez trop peu de nourriture,
ainsi plusieurs hommes ont toujours du partir
au loin, pour aider leurs familles, et s’embaucher.
Anticamente il nostro paese era più popolato di ora
qui la maggior parte non avevano mai abbastanza cibo,
così tanti uomini hanno sempre dovuto andare, per aiutare i familiari,
in pianura, per ingaggiarsi.
8
Wi Houfara, wéit, i mitsch in anner Lljöit:
a Stuckh Bruat un Chiesch im Sakh, u mussun loan
Wéiber u Chinn un Eji, um n’en muan troan
a söiri Geeld u Spéis, u sua pschitz noch höit!
Comme macons, bien loin, et parmi d’autres gens:
un morceau de pain et fromage dans le sac,
devant quitter épouses, enfants et mères,
pour leur porter argent et mets, comme aujourd’hui!
Come muratori, lontano, fra altra gente;
un tozzo di pane e cacio nella bisaccia,
dovendo lasciare mogli, bimbi e madri,
per poter portare loro un po’ di denaro e cibo, e così succede ancor oggi!
9
Éttlljigi im Schantji hen mussun loan dä Lebtag
wa Villuru, gottangh, séin muan arwinnen
un blljéiben woa dschi hen glebt Chinn, um vinnen
z’Gschlecht un z’Lann, u sua héi lljéivrun ürriun Tag.
Sur le chantier, quelqu’un d’eux dut perdre la vie,
la plupart, heureusement sont rentrés chez eux
pour demeurer où ils ont vécu enfants, retrouver
parents et pays, et ici achever leur vie.
Alcuni nel cantiere hanno dovuto perdere la vita
ma molti, grazie a Dio, son potuti ritornare
e rimanere dove sono vissuti da bambini, per trovare
i parenti e il paese, e così finire qui i loro giorni!
10
Van héi uger, woa sit lannhuscht ich noch stoan
vümmig vört Éischeme hennich gsien töischun!
Vill Höischer hennich gsien weerden un lljéivrun,
im oalte Vréithof stül Lljöit hennich gsien troan.
De ce haut site, où dès longtemps je me dresse,
combien de fois j’ai vu Issime se transformer!
Un tas de familles j’au vu naitre et périr,
grand nombre de personnes descendere au tombeau.
Da quassù, dove da tanto tempo io sto ancora ritto,
quante volte Issime ho visto cambiare!
Molti focolari ho visto nascere e finire,
nel vecchio cimitero, stuoli di gente ho visto portare.
11
Hen gsien Goweschini troan awek Gmachi,
Lljöit u Steega lljéivrun i mitsch in d’Walla,
Bloatri un Krüppa arvallen, Lawéni, Schniewa
Houfi ouf i Houfi das hen grürt di Tachi.
J’ai vu débordements engloutir des maisons,
personnes et ponts etre emportés des violents flots,
éboulement de monts, avalanches, neige
en grand tas, jusqu’à atteindre le dessous des toits.
Ho visto alluvioni portar via delle case,
persone e ponti, finire fra i flutti,
frane e poggi diroccare, valanghe, nevicate
mucchi enormi che lambivano i tetti.
12
Ich will ni grüzen, wa ich bin nümmi ganz,
halbs binnich im Guvver das ischt héi unner:
d’arüschutu das hen gschpürt Ioari hinner
wénh dsch’arwinnt, vür mich is dén dä létschten tanz!
Je vous salue, mais je ne suis plus tout entier,
ma moitié demeure brisée ici dessous:
si le tremblement qui récemment m’a secoué
se bisse, pour moi ce sera le dernier bal!
Vi voglio salutare, ma non sono più intero,
metà sono nella pietraia che è qui sotto:
la scossa che ho sentito anni fa
se ritorna, per me sarà l’ultima danza.
ICH BIN OALTS, UN GROAWS, UN LOAMS
Je suis vieux, et gris, et invalide
Io sono vecchio, e grigio, e invalido